Quante volte vi siete detti “non riesco a far fare questo con il mio corpo”, “il mio cervello è bloccato”, “eppure negli allenamenti riuscivo a farlo”?
L’atleta ha un supercervello. E’ radicato in noi l’istinto alla sopravvivenza. Quando subiamo un trauma fisico oppure emotivo come l’umiliazione da parte di varie figure quali l’allenatore, i compagni di squadra, i genitori, il pubblico/fans, sarebbe istintivo evitare ulteriori performance. L’atleta invece nonostante la ferita sul corpo e nel cervello ed il rischio in alcuni sport per la propria incolumità fisica continua a sottoporsi a sfide e prove. La profonda disciplina, impegno,ambizione, perfezionismo che va oltre l’istinto di sopravvivenza del proprio corpo e del proprio ego mi fa affermare che l’atleta abbia un “supercervello”.
Nonostante queste continue pressioni , l’atleta performa. Alcune esperienze negative vengono “metabolizzate” o rielaborate , mentre altre rimangono “congelate” nel corpo e nel cervello con la loro intensità di quando sono avvenute. Questo perché alcune esperienze sono state particolarmente traumatiche, oppure perché sono state “l’ennesima goccia che ha fatto traboccare il vaso” spezzando un equilibrio; del resto anche le piccole gocce d’acqua creano un solco nella roccia, non c’è bisogno di affermare di aver vissuto uno “tsunami”.
Gli eventi traumatici sia emotivi che fisici vissuti dagli atleti tendono ad accumularsi a livello inconscio, ed è a causa di queste esperienze negative precedenti che l’atleta quando poi deve performare vive un senso di pericolo che si manifesta con insicurezza, sfiducia e tensione fisica. Tutto questo interferisce con una esecuzione ottimale del compito.
Solamente le tecniche di iper- razionalizzazione e cognitive migliorano il sintomo prima della performance, ma non accedono al fulcro del problema ovvero come il sintomo si è sviluppato e cosa l’ha causato; pertanto aiutano, ma non risolvono. Non siamo nati con quella paura, con quel blocco, lo abbiamo sviluppato ed imparato tramite un’esperienza negativa. Spesso questo apprendimento è avvenuto ancora prima di diventare atleti. Meccanismi quali la rigidità, il controllo, il perfezionismo, l’autocritica sono modalità profonde che originano dal passato, dalla nostra storia di persone e che poi formano la visione di noi stessi e del nostro valore. Ecco perché per potenziare la performance occorre avere concettualizzato e risolto i condizionamenti ostacolanti della storia della persona.
Alcuni atleti all’inizio del percorso di performance expansion erroneamente pensano “se smetto di criticarmi, di essere rigido poi inizio a non avere gli stessi risultati”. La domanda è: “ performiamo meglio quando siamo in una condizione di paura oppure quando siamo in uno stato di calma e lucidità mentale?”. La realtà è che chiunque di noi è più motivato, sente più energia e spinta competitiva quando riceve gli applausi, gli incitamenti, i complimenti invece che la critica. Un approccio negativo ci mette ulteriormente sotto pressione aumentando l’ansia e la paura con il risultato di non raggiungere una performance ottimale e non poter sfruttare ed espandere le nostre potenzialità. Allora perché pensiamo di dover essere severi con noi stessi? La risposta è perché abbiamo imparato ad esserlo dall’esperienze.
Al fine di ottenere il massimo risultato occorre applicare tecniche avanzate, www.performanceexpansion.com, che hanno la capacità di andare oltre la parte più esterna del cervello (Neocortical) ed accedere a quella più profonda ed interna (Subcortical). La Neo-corteccia ricopre quasi tutto il cervello e permette di attuare le attività mentali più complesse come la socializzazione, il linguaggio, la consapevolezza, il problem-solving, la razionalizzazione e la pianificazione. Sotto la neocorteccia vi è la parte sub-corticale che include aree del cervello che sono fondamentali per l’ottimizzazione della performance. La parte sub-corticale è chiamata anche cervello primitivo e rettiliano perché rispetto alla neocorteccia, questa parte è esistita in specie di animali che esistevano prima dei mammiferi, probabilmente anche nei dinosauri. Il cervello primitivo è l’istinto, la spinta alla vita, quella parte (sistema limbico) che ci permette di avere reazioni veloci e che detiene la memoria emotiva. Aree subcorticali (ippocampo ed amigdala) hanno una funzione cruciale nella creazione della memoria e rielaborano la maggior parte delle emozioni quali rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa, felicità e soprattutto paura. Quando un atleta registra in memoria un’esperienza negativa, è proprio l’area subcorticale che detiene questa informazione e che fa scatenare risposte di ansia ogni volta che ci si trova a dover performare. Razionalizzare e pianificare ci fa utilizzare la parte neocorticale, ecco perché dopo un’esperienza negativa anche se mi dico razionalmente “andrà tutto bene”, poi nel profondo non ci credo. Le tecniche di performance expansion, oltre a guarire la parte neocorticale, sono un canale diretto di accesso all’area subcorticale, dove risiede il cuore del problema. Oltre a guarire i blocchi ed il passato si ottiene un’espansione delle proprie risorse e capacità ottenendo l’ottimizzazione e l’espansione della performance.
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